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AUTOPRODUZIONE MUSICALE. OLTRE LA PLASTICA.

Sul numero 1 di H.S. il mio intervento/introduzione sull’autoproduzione musicale lasciava spazio ad una domanda legittima: che cosa differenzia, in fondo, l’autoproduzione dalla cultura underground (che ha almeno 30 anni di storia), dalla piccola imprenditorialità o dal dopolavorismo?
Rispondere a questa domanda significa andare a cercare le radici delle scelte, le finalità, le motivazioni.
Con l’estendersi e l’assestarsi della rivoluzione industriale (dall’inizio del secolo scorso diciamo) la posizione dell’arte (termine sul quale significato sorvolo) in quanto passatempo/prestigio/status symbol delle corti nobiliari e annessi è andata rapidamente mutando, sotto la spinta di nuovi ceti sociali (borghesia, ceto medio) e spinte produttive (serializzazione, riproduzione, trasporti). A proposito: se riprendete il primo articolo di H.S. troverete una grossa similitudine tra questi fattori di cambiamento e quelli che, dal ’75 circa, hanno spinto verso la frantumazione dell’arte (parola “recessiva”?) e delle aree sociali di fruizione (non per nulla appena all’inizio di una nuova fase storica-il silicio?-).
Col mutare del ruolo della produzione artistico si formarono nuove iniziative (a partire e contro il monopolio del capitale): l’attenzione sempre crescente delle organizzazioni del movimento operaio verso forme di propaganda e di socialità più legate al discorso portante delle lotte sindacali/socialiste, ovvero l’accesso alla cultura; lo spazio per nuovi “traffici” economici, vedi piccoli editori, stampatori, organizzatori; il tentativo delle classi medie di imitare i “veri ricchi”. (Visto lo spreco di paroloni devo specificare che andando per le spicce, tenendo anche conto che, per mia fortuna, non ho una preparazione di tipo universitario).
Un movimento operaio costruito attorno all’idea della “presa del palazzo” (entrare dentro le istituzioni, dietro le scrivanie, accedere alle leve) non poteva che portare alla creazione su scala popolare di una concezione della produzione artistica separata dalla vita reale, dallo scontro tra capitale e lavoro: tutt’al più poteva “dipingere” questo scontro. Con l’immissione del sindacalismo e delle organizzazioni culturali di “sinistra” dentro l’area garantita (che sopperiva volontariamente e gratis competenze dello stato), la cosiddetta cultura operaia è diventata spazio dopo-lavoristico riproducente in piccolo lo schema della cultura ufficiale. Brutalmente: ricordo d’aver letto che la notte degli scontri alla Scala, nel ’77, un gruppo di compagni si rifugiò in un circolo ARCI dove si teneva un concerto di lirica: cosa volevano i primi? Entrare, metaforicamente, alla Scala? Ed i secondi? Darsi un contegno, del tipo “ci tenete fuori ma anche noi siamo istruiti”? I due gruppi erano più vicini tra loro di quanto pensassimo allora. Io pure. La riproduzione in piccolo della “dimensione arte”

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era ovviamente appannaggio degli “imitatori” per eccellenza, la media borghesia. Ciò che accumuna queste spinte diverse, al di sopra dei percorsi e delle mete, è la cultura che le sottende. Cioè cosa penso di me, del mondo e della loro rappresentazione. Ma torniamo al nostro piccolo e squinternato trattato storico. Dentro questo ampliarsi dell’area sociale che chiedeva, produceva, consumava cultura si formavano sacche, avamposti del “piccolo è bello”, del sotterraneo, l’emarginato dalla cultura ufficiale (termine sovra-politico: provate a distruggere un tornio o un computer e vediamo CHI si incazza e che parole usa) Emarginato spesso per un motivo di commerciabilità: il rock and roll è stato inizialmente emarginato non perché il Pentagono tremasse alla vista delle anche di Elvis ma perché, così come era, non vendeva. Con vari aggiustamenti sonori e sociali, “imbiancato”, si è venduto benissimo un r’n’r più blasfemo e fracassone. (C’è una dialettica tra le spinte qui ma mi premeva togliere dalla bambagia del mito ciò che è invece BUSINESS) Underground, dopolavorismo, imitazione piccolo borghese: questo lo scenario. Aggiungiamo che la “carriera” artistica è una via di fuga, una possibilità di accedere: uno su un milione però…ma si caratterizza per contenere, anche solo larvatamente, una opzione diversa. Altrimenti non è.

Autoproduzione è una parola riduttiva poiché rimanda unicamente ad una modalità: il far da sé. E se, non delegare all’industria parte del “lavoro” affermando già nel COME l’estraneità all’arte borghese, è importantissimo ma non basta. Innanzitutto lascia scoperto il problema del chi può “permetterselo”. In Zaire? Il turco di Berlino? Si autoproduce all’interno di una enclave dell’occidente capitalistico e il prodotto “esce” dopo aver foraggiato stamperie, studi fotografici, sonori, benzinai, pasticceri, ecc. ecc. Non si rompe il meccanismo: ed è proprio questo che si vuol fare. Spezzare un dominio culturale, di valori e la loro GERARCHIA. L’autoproduzione deve essere una presa di coscienza che va al di là, deve prefigurare il mondo della possibilità e della libertà. L’anarchia? Se non si tratta di stampare dei dischi ma di rendere operante uno spazio fisico, psicologico ed anche economico per la cultura antagonista (e CIOE’ libertaria) che cosa “differenzia” i dischi?

“Suonare come superamento della realtà costrittiva, come espressione, comunicazione, con modalità proprie; questo significa la eliminazione (fisica?) dei musicisti, della musica in sé e per sé, del palco; significa ricordarsi sempre che ogni spettatore è un vigliacco” (Max D’Ambrosio-Franti). “Possiamo definire cultura antagonista quella che cresce all’interno di un movimento di azione in lotta con l’attuale sistema economico e culturale e che abbia come scopo la crescita stessa dell’immaginario di questo movimento.

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Libertario perché tende al superamento delle gerarchie esecutore/pubblico, tecnica/poesia, mezzi economici/isolamento” (Stefano Giaccone-Franti)

“La società è ormai frammentata: le si risponde con una ricomposizione a frammenti. La società si manifesta mediante l’effimero e la velocità: le si risponde con una estetica dell’effimero e la rapidità delle forme” (Omar Calabrese-Alfabeta)
Non è la marginalità che identifica l’autoproduzione ma la cultura antagonista che la sottende. Così la produzione di “immaginario” entra, a PARI livello, nella creazione di una “nuova sensibilità”. Il mondo che stiamo costruendo deve potersi leggere nel come, nel cosa, nel dove. Tentare una ricomposizione.
Ma mancano le parole per essere più precisi. Nella pratica? Vi rimando ancora al precedente articolo. Oggi la situazione è molto peggiorata. L’ipotesi che rapidamente dalla autogestione musicale si potesse passare ad una più generale presa di coscienza sul proprio essere 1) vivo 2) sfruttato 3) musicista, è fallito. Ha vinto quasi ovunque l’omologazione alla cultura della merce, dello spettacolo. Bisogna affrontare ancora la solitudine. Utilizzando canali non del tutto “contigui” magari. Ma la “chiarezza” del dibattito fino ad ora sviluppato mantiene in piedi la fiducia di passare in mezzo al guado. I primi segni ci sono. “Un nuovo tipo di sensibilità e una nuova inventiva che mettano assieme il problema della complessità e della trasformazione rivoluzionaria. Quello che noi abbiamo iniziato non deve essere confuso con niente altro, non può essere fermo solo ad una espressione di pensiero e meno ancora a quello che chiamato arte. Queste cose noi le vogliamo sconvolgere” (da “Vento/AJAR” giornale del collettivo per l’ecologia sociale friulano di Udine)

NOVEMBRE 1988

Qualche segnalazione discografica:
1) l’etichetta “INISHEER”, del quale sono il “fondatore” insieme a Lalli (provenienza di entrambi “Franti”), ha fatto uscire un Mini LP “Classe Differenziale” del gruppo romano GRONGE. Questo lavoro segue i due 2 45 giri usciti nell’88: “ENVIRONS” e “RAIZ LATINA”. Prossime uscite “ENVIRONS” LP e “KINA” miniLP. INISHEER pubblica, a periodicità variabile, il bollettino “Passaparola”. Spedire Lire 1000 in francobolii a INISHEER c/o BACKDOOR VIA PINELLI 45 10144 TORINO
2) Una nuova uscita per l’etichetta BLU BUS (diretta dai KINA di Aosta) si tratta dell’LP “Angoscia” dei trentini “YOUNGBLOOD”. Punk potente ma ben cistruito ed anche melodico, qua e là. BLU BUS c/o SERGIO MILANI VIA BRAMAFAM 14-11100 AOSTA