FRANTI IN CONCERTO

… Abbiamo fatto pochi concerti perché abbiamo scelto solo quelli che ci sembravano permettere un rapporto più diretto con la gente in quanto concerti autogestiti e motivati politicamente.

Né festival dell’Umiltà, né concorsi ippici in discoteca…
E poi un sacco di altra strada da fare come l’organizzazione diretta di concerti per gestire la serata con altri gruppi e coinvolgere altre forme creative (danza, poesia, immagini, ecc.) e il superamento delle divisioni rock/non rock come formazione, composizione, esecuzione…

(dal foglietto di Luna Nera, settembre 1983)

… Il denominatore comune non è il tipo di musica, ma quello che si vuole esprimere/comunicare con essa, rompendo quella logica standardizzata che vuole i gruppi prendere iniziative insieme a partire dalla loro similitudine musicale.

Come se la musica fosse una vernice che prescinde da chi la usa e da come la usa…

(da Franti/Contrazione, 1984)

… Comunicare presuppone due soggetti, sia il ricevente sia il trasmittente che interagiscono.

(Vanni, dal libretto del Giardino delle 15 pietre, 1986)

… Il punk sovverte parzialmente questa teatralità del finto, mandando a turno gli spettatori sul palco per suonare e i musicisti sotto per pogare, ricostruendo un rapporto fisico tra gli spettatori ed i musicisti col saltarsi addosso e lo sputo.

Ma soprattutto rompendo con il progressivo prevalere del tecnicismo del rock, restituendolo ai figli della metropoli frettolosi e vivaci…

… Questa tensione sociale esplode nel concerto che perciò non è più solo rito (che comunque rimane la terapeutica dello sfogo) ma manifestazione totale di negazione ai cliché del rock e del suo pubblico. Non più applausi ma sputi o silenzio…

(Stefano, dal libretto del Giardino delle 15 pietre, 1986)

… Suonare come superamento, anche se per pochi attimi, della realtà costrittiva, come espressione, comunicazione, con modalità proprie, agli altri; creazione di spazi per leggersi ed essere antagonisti: questo significa l’eliminazione (fisica?) dei musicisti, della musica in sé e per sé, del palco, di quelli che si muovono sopra e quelli che guardano da sotto, dei processi di mitizzazione e di identificazione; significa ricordarsi sempre che “ogni spettatore è un vigliacco”.

(Massimo, dal libretto del Giardino delle 15 pietre, 1986)